Questa volta l’insetto fotografato da Roberto ci
permette di accennare a un interessantissimo fenomeno che riguarda diversi gruppi
di esseri viventi, anche se proprio tra gli insetti ne incontriamo gli esempi più
frequenti e vistosi: il cosiddetto mimetismo batesiano, dal nome del
naturalista inglese Henry Walter Bates, che per primo lo segnalò e interpretò
nell’Ottocento.
Eristalis tenax |
Nella lingua corrente, il termine “mimetizzarsi” fa
riferimento a come un oggetto – o un essere vivente – i cui colori siano simili
a quelli dell’ambiente circostante tenda a confondersi col medesimo, risultando
di conseguenza meno visibile. Lasciando perdere le tute militari e considerando
in particolare gli animali, è evidente che una buona mimetizzazione può essere
utile non solo a una possibile preda (che non viene avvistata e cacciata) ma
anche a un predatore (che riesce ad avvicinarsi alle sue potenziali vittime
senza allarmarle).
Il Succiacapre Caprimulgus europaeus L. è un tipico esempio di mimetismo crìptico. Come si può notare in questa immagine l’animale si confonde molto bene con l’ambiente circostante. |
In entrambi questi casi bisognerebbe però aggiungere al termine mimetismo l’aggettivo “crìptico”, cioè che nasconde, dato che in natura si incontrano anche altri tipi di mimetismo, tra i quali appunto quello batesiano, che ha carattere unicamente difensivo: in esso, la forma e soprattutto i colori di una specie del tutto innocua sono molto simili a quelli di un’altra in qualche modo pericolosa, con la conseguenza che anche l’animale inoffensivo viene lasciato in pace dagli eventuali nemici.
Eristalis tenax |
Per entrare nei dettagli, il soggetto “imitato” contiene sostanze che lo rendono tossico o disgustoso, oppure è dotato di validi mezzi di difesa di cui l’inconsapevole imitatore è privo (nel solito greco antico il verbo mimèin, da cui provengono i nostri “mimo” e “mimica”, significa per l’appunto imitare). Mangiando sia pure un’unica volta un individuo della specie velenosa o sgradevole o ben armata, o addirittura soltanto tentando di mangiarlo, un predatore si sentirà male, assaggerà un sapore repellente o sarà punto; da quel momento eviterà tutte le possibili prede con analoghe combinazioni di colori, detti di avvertimento. Gli stessi sono disposti in accostamenti molto netti, di solito a grandi macchie o strisce in cui il nero si alterna al giallo, all’arancione o al rosso, creando un vivace contrasto che si impone (e si ricorda) a prima vista.
In conclusione, il mimetismo batesiano è una sorta di bluff, che ottiene risultati analoghi a quelli del mimetismo criptico mediante la strategia opposta: protegge chi ne è dotato non nascondendolo ma mettendolo il più possibile in evidenza, per segnalare un rischio che in realtà non esiste. Per
questo nel linguaggio scientifico specialistico è detto anche “mimetismo
fanèrico”, cioè “che esibisce”.
E veniamo al soggetto fotografato, che una volta tanto non è un Coleottero. Abbiamo a che fare con un Dìttero, nome che significa “con due ali” (i rappresentanti di questo ordine ne posseggono infatti un solo paio, poiché il secondo si è trasformato in una coppia di organi di equilibrio detti bilancieri). L’insetto in questione è un parente delle comuni mosche e porta il nome di Eristalis tenax. Data la grande somiglianza di forma, dimensioni, colori e disegni è facilissimo scambiarlo per un’ape (che per inciso appartiene a un altro ordine, gli Imenotteri, in cui le ali sono due paia); e poiché quest’ultima, dotata di pungiglione, non viene attaccata, anche l’Eristalis è al sicuro dai predatori grazie a questo “stratagemma”.
Eristalis tenax |
Ape europea Apis mellifera L. |
Ho messo il termine
tra virgolette, dato che ovviamente la suddetta somiglianza non è frutto di
alcuna intenzione: una specie non può far nulla per diventare simile a
un’altra, o per prendere i colori dell’ambiente in cui vive. Ma allora come si è
sviluppato il mimetismo?
Troviamo la risposta negli studi evoluzionistici di Charles Darwin, il
grande naturalista inglese che nell’Ottocento individuò il meccanismo della
cosiddetta selezione naturale, in base al quale le specie viventi
lentissimamente si trasformano. Eccolo, ridotto ai minimi termini.
Come ben noto, in una popolazione di animali o di piante ogni individuo
nasce leggermente diverso dagli altri; tra quelli di una specie innocua
esistono quindi esemplari casualmente un po’ più somiglianti a una specie
pericolosa. Poiché questi individui avranno maggiori probabilità di salvarsi
dai predatori, tenderanno a diventare in proporzione sempre più numerosi.
Aumenteranno dunque anche le loro probabilità di incontrarsi e riprodursi,
passando ai discendenti il carattere che li ha favoriti; di conseguenza il
carattere stesso si farà sempre più pronunciato, più costante e più diffuso e
la somiglianza si accentuerà generazione dopo generazione. Non dimentichiamo
che per giungere a risultati come la straordinaria convergenza tra l’aspetto
dell’Eristalis e quello dell’ape, la selezione naturale agisce senza
sosta lungo centinaia di migliaia di generazioni.
Giancarlo Colombo
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